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Mar21

mia diletta quiete

Di: Stefano Simoncini Categories // News, Blog, Edilizia Bookmark and Share

Iniziare la primavera con una domenica di sole e la prospettiva della scoperta ad una maestosa villa con parco, da poco resa accessibile dal comune, è già la prima suggestione che vorrei trasmettere con questo pezzo.

La seconda suggestione è data dalla cittadina dove si trova la Villa denominata La Quieta o Villa Spada: Treia. Che potrebbe definirsi un angolo di…Toscana? Umbria? Forse ancor meglio, un angolo di Marche. Di quelle Marche più Marche quali sono per me le terre maceratesi. Una delle “bandiere arancioni” dove tutto appare armonico, dolce come il miele, il cui colore è identico a quello dei mattoni della sua bella e serpentiforme cinta muraria.

Così mi reco a questa apertura eccezionale voluta per la festa del patrono cittadino dall’ottimo Sindaco Franco Capponi che ci accoglie nel viale d’ingresso all’altura boscosa dove si trova la villa. Un parco di 2,3 ettari con al suo interno giardini all’italiana, orti, ampie zone boscate e magnifici alberi secolari tutti perimetrati da robusta cinta muraria.

Le notizie storiche raccontateci con dovizia di particolari dalle gentili guide di oggi e contenute sul blog del comitato "Mia diletta Quiete" per il recupero del complesso Monumentale della villa Spada dicono che dal 1036, si hanno notizie che sul luogo dove oggi sorge villa Spada, esisteva una chiesa dedicata a San Savino, di probabile origine longobarda. La chiesa venne inglobata in un convento cappuccino edificato a partire dall’anno 1578 e che restò operante fino alle soppressioni napoleoniche degli ordini religiosi del 1810. Dopo il Trattato di Tolentino tornato il territorio sotto lo Stato Pontificio, il convento venne acquistato (1812) dal gonfaloniere di Treia il sig. Luigi Angelini il quale commissionò al “archistar” Giuseppe Valadier il progetto di trasformazione. Ben presto però, almeno sin dal 1828, la villa venne acquistata dal suo più illustre e noto proprietario, il conte Lavinio De Medici Spada che la volle come propria dimora, modellandola, nell’arco dei più di trent’anni in cui la possedette, ad accogliere i suoi molteplici interessi e le sue aspirazioni.

E qui siamo alla più bella delle suggestioni che ci viene suggerita: la splendida storia d’amore tra Lavinio e la bella contessa polacca Natalia Komar.

Lavinio de Medici Spada fu un personaggio complesso che si trovò più volte ad avere ruoli di primo piano nelle vicende storiche del Risorgimento: prelato, che non prese mai gli ordini sacri, contrario alla pena di morte nella Roma di Mastro Titta, nonostante fosse il prefetto delle armi di Gregorio XVI e poi il presidente delle armi di Pio IX, legato pontificio a Ravenna dove, da mecenate qual era, fondò l’Accademia di Belle Arti. Nel 1848 abbandonata la prelatura, ebbe a viaggiare nell’Europa accademica e salottiera, a dedicarsi ai suoi studi e alle sue molteplici passioni. Fu letterato e poeta affermato (lodato pubblicamente dal Monti), espertissimo di mineralogia tanto che esiste un minerale a lui dedicato come la spadaite. La sua enorme collezione di minerali ha costituito il primo grande fondo del Museo di Mineralogia dell’Università La Sapienza di Roma. Collezionista d’arte, botanico e agronomo sperimentatore fu nominato Segretario della Società Romana di Orticoltura. Innamoratosi perdutamente della bella contessina polacca Natalia Komar, e da questa pienamente corrisposto, la sposa e si ritira con lei definitivamente a vita privata nella sua villa treiese, da lui ribattezzata in una villa La Quiete anche in una sua poesia che inizia con “O mia diletta Quiete!”.

Il complesso monumentale assomiglia davvero ad un buen retiro. Le solide mura perimetrali, siepi di alberi e arbusti fittissime che come nell’infinito leopardiano lo sguardo spesso escludono sull’ampia valle del Potenza o sui vicini rilievi appenninici, le coppie di massicci ed imponenti propilei all’ingresso – per sorreggere enormi cancelli – i quali, assieme alla Casa del Custode ed i Magazzeni del giardiniere, costituiscono l’accesso maestoso alla proprietà, tutto sembrano essere sorto con il compito di separare Lavinio e Natalia dal mondo esterno.

E la costruzione dei giardini, di cui oggi scorgiamo l’abbozzo della rigorosa geometria grazie all’intervento comunale dopo decenni di abbandono che li avevano trasformati in una giungla, dovevano essere un complessivo omaggio floreale alla bellezza dell’amata, che adorava rose, camelie e begonie sopra ogni altra specie. Si pensi che vennero maniacalmente catalogate oltre 10000 essenze floreali differenti presenti nel giardino!

La bellissima contessina poté godersi appena la vista che si gode dalla villa, dai Sibillini al Monte Conero e a 365 gradi sulla splendida campagna treiese perché morì pochi anni dopo. Il tragico lutto trasformò il carattere dell’uomo, tanto da renderlo praticamente pazzo e portarlo a trasformare quel luogo, pensato in ogni dettaglio per celebrare l’amore, in luogo di ossessiva memoria per onorare il dolore del distacco da lei.

Così, ad esempio, sulle sommità degli imponenti propilei all’ingresso, vengono istallate due enormi colonne spezzate simboleggianti la morte ed una grande urna cineraria in muratura sagomata.

La storia della villa dopo la morte di Lavinio è una lunga teoria di trasferimenti di proprietà e successioni ereditaria con qualche singolarità nel suo utilizzo.

Prigione femminile prima e, più di recente, dei coloni etiopi provenienti dalla I^ edizione della Mostra Triennale delle Terre Italiane d'Oltremare di Napoli voluta da Mussolini per celebrare la gloria dell'impero italiano nell'Africa del nord e nel Mediterraneo. Gli etiopi rinchiusi nella villa allo scoppio della guerra, un mese dopo l’inaugurazione dell’evento di regime ai quali erano invitati, molti dei quali restarono a Treia dopo la guerra, alcuni mettendo su famiglia. Di certo tra i primi esempi, di integrazione di “extracomunitari” nella nostra regione, all’epoca formata essenzialmente di famiglie rurali tradizionalmente diffidenti, che invece li seppe accogliere .

Dal 1944 fu base dei liberatori polacchi e britannici, ed infine utilizzata a scopi sociali come sede dell’asilo cittadino. Poi un lungo oblio e noiose vicende giudiziarie terminate solo due anni fa con la proprietà che passò definitivamente al Comune.

La villa, sorta sulle strutture del convento cappuccino, che permangono, fu magistralmente reinventata dal Valadier nel 1815, come attesta uno schizzo autografo, è l’ennesima suggestione già solo girandole attorno. Gli interni non sono per ora visitabili ma li possiamo apprezzare grazie ai rilievi architettonici e fotografici, eseguiti alcuni anni or sono da un gruppo di professionisti per la redazione un progetto di restauro esposto per l’occasione presso una chiesa cittadina.

Il  complesso architettonico presenta poi una serie di architetture eclettiche organizzate in un sistema di assi definiti dai viali e dalle circostanti parti verdi che conferiscono un’assoluta alternanza di spazi aperti e chiusi decisamente affascinanti: dalle splendide querce, ai “cordoli” di bosso che segnano i vialetti imbrecciati, dai tunnel alberati ai maestosi cedri del libano.

Ma girando ti rapiscono altri edifici ed angoli ancor più emozionanti se c’immagini passeggiare per mano Lavinio e Natalia. Ad un dato punto un padiglione in stile neo egizio nella terrazza dove si trova un simpatico barbecue e forno adiacenti! Una serra merlata alla ghibellina (limonaia?), ed un grande gazebo ottagonale di laterizi a vista in bellissimo stile neo gotico da cui partono tre fantastici viali alberati che si concludono in una balconata dalla quale viene da sporgersi per toccare, in giorni limpidi come oggi, i Sibillini, i monti della Laga, il Gran Sasso d’Italia.

D’ora in poi Treia mi resterà nel cuore non solo per lo Scout Park di San Lorenzo tante volte frequentato da ragazzo, ma per questa magica villa che ti seduce ed avvolge. Così ti ritrovi non solo in un angolo di Toscana nella marca maceratese, ma pure in uno spicchio di veneto palladiano.

Stefano Simoncini (foto tratte da I luoghi del silenzio, cronache maceratesi, blog O mia diletta quiete)

 

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